I capricci? Alla ricerca di significati e strategie di gestione!

La capacità di pensare e di sentirsi dei bambini si struttura attraverso la sintonizzazione sui loro bisogni e segnali comunicativi da parte delle sue figure di accudimento .
Alla base di un attaccamento sicuro, quindi di un senso di identità integrato, vi è una buona funzione di holding da parte dei genitori. Questa viene intesa come capacità di “tenere”, sostenere e contenere il bambino, per mezzo del contatto fisico ma soprattutto nell’accezione del “tenerlo” nella propria mente, come un individuo distinto da noi, con i suoi bisogni, le sue caratteristiche, i suoi segnali comunicativi.

Winnicott ha ben chiarito l’importanza che una madre sia “sufficientemente buona”, perché una madre “troppo” buona sarebbe destrutturante per il bambino.
Una madre, o un genitore in genere, “troppo buono”, soddisfa tutti i bisogni del bambino, nella sua disponibilità senza confini: anche quelli non ancora espressi.
In questo modo un genitore non lascia al bambino lo spazio per desiderare, per avvertire il proprio bisogno, per imparare ad auto-contenersi, e anche sperimentare la rabbia, che è un motore vitale ed emancipante.

Una disponibilità senza limiti da parte del genitore non permette di sperimentare la frustrazione ed altre emozioni che sono il motore sulla strada verso autonomia e individuazione; non dà occasione al bambino di sviluppare abilità di gestione di tali emozioni e di entrare in rapporto con il principio di realtà e con i bisogni dell’altro, quindi con l’empatia.

Ecco perché di fronte a quelli che usiamo chiamare “capricci” è importante riflettere sui limiti che vogliamo utilizzare per aiutare i nostri bambini a crescere.
Questo d’altra parte non può non essere preceduto da un’attenta lettura di quello che il bambino ci sta comunicando e di ciò che siamo noi a voler comunicare a lui, ma vediamo una cosa per volta.

Perché i capricci?

Perché no?, sarebbe più corretto chiedersi.

Intendiamo il capriccio come quell’escalation che dall’opposizione dei bambini di fronte ad una richiesta degli adulti, passa all’agitazione e all’ira più incontenibile e che li vede impuntarsi nel rifiutare di fare qualcosa che gli viene richiesto dalla situazione sociale o dal livello di autonomia da loro raggiunto, oppure non riuscire a lasciar andare l’attaccamento ad un desiderio contingente o ad un oggetto che non può avere.

Già: “non riuscire”. Infatti, non possiamo non ricordare che i bambini partono costituzionalmente dal non sapere regolare i propri stati emotivi né controllare i loro impulsi. A volte come adulti tendiamo ad attribuire una precisa intenzionalità ai bambini nel comportarsi in modo inadeguato, non considerando che spesso non possono, al di là della loro volontà, gestire la loro frustrazione e i loro stati interni comportandosi come noi ci aspetteremmo che facessero. Sono infatti per definizione immersi in una fase di immaturità del processo di sviluppo delle strutture non solo psichiche ma più concretamente cerebrali.
Le neuroscienze d’altra parte dimostrano chiaramente la plasticità dei circuiti cerebrali, che prendono forma a partire dalle relazioni interpersonali durante tutto l’arco della vita. Durante l’infanzia però il valore dell’interazione con l’altro al fine dell’apprendimento è alla sua massima potenza. Siamo dunque noi a doverli aiutare a sviluppare nel modo più armonioso circuiti cerebrali legati alla gestione degli impulsi, delle emozioni e del comportamento ancora poco sviluppati.

Le domande che dobbiamo porci prima di intraprendere qualsiasi intervento

Abbiamo detto che intendiamo il capriccio come la reazione del bambino ad un attaccamento sproporzionato ad un oggetto o ad una situazione a nostro avviso futile, nel senso del rifiuto o del desiderio.

Nonostante le circostanze contingenti del capriccio appaiano trascurabili, la prima domanda che dobbiamo porci però deve riguardare la nostra lettura della situazione. Cosa sta esprimendo il bambino con la sua rabbia e opposizione?
Cosa sta esprimendo nella relazione con noi, in qualità di genitori, o adulti?
E’ possibile che la sua agitazione esprima un bisogno primario (fame, sonno) o secondario, come di sicurezza, o di maggiore attenzione, o magari di ritmi più lenti, forse la fatica a metabolizzare un momento di transizione? Potrebbe trattarsi di un suo mettere in scena emozioni legate ad una situazione di conflitto presente in famiglia?
Il sovraccarico emozionale, pulsionale che si esprime nella crisi di rabbia o di frustrazione, quando ripetuta, ha necessariamente un’origine, che è importante indagare in un assetto di immedesimazione, ascolto e assenza di giudizio.

In seconda battuta, dobbiamo chiederci, di fronte ad un comportamento del bambino che rappresenta un problema, cosa vogliamo ottenere con il nostro intervento? Vogliamo soltanto sanzionarlo ed estinguerlo, oppure vogliamo insegnare al bambino delle abilità gli permettano di gestire in modo più adeguato i suoi impulsi?

Strategie inefficaci

E’ importante ricordare che il bambino può apprendere solo in presenza di uno stato emotivo stabile e di una base affettiva sicura. Non c’è metodologia educativa che non si basi su questo assunto: quello che possiamo “disapprovare” è il comportamento, MAI la persona del bambino.
Da un lato, per l’adulto manifestare la propria rabbia può essere sacrosanto, anche perché permette al bambino di riconoscere l’emozione dell’altro e poterla quindi accettare anche in se stesso, senza sentirla distruttiva.
Proprio per questo però non deve esserlo.
E’ importante che l’adulto nella sua reazione al comportamento del bambino non risulti schiacciante e mortificante. Il bambino infatti costruisce la propria identità e sicurezza sui rimandi che riceve dalle sue figure di riferimento.

È funzionale lo sfogo della nostra frustrazione di fronte ad un capriccio del bambino? Certo può capitare, siamo umani, ma non comunica uno strumento utile. Vogliamo che i nostri bambini imparino ad inibire un impulso per paura di una punizione o grazie all’apprendimento di una competenza?
La punizione fisica è da evitare in tutti i casi. Ha una funzione di sfogo per l’adulto, a danni però della percezione della sua sicurezza corporea e affettiva da parte bambino. E’ anche disfunzionale dal punto di vista educativo, passando lo strumento della violenza e del potere come una soluzione relazionale.
Vogliamo davvero che i nostri bambini apprendano a comportarsi bene attraverso la paura o l’umiliazione? Nessuno impara attraverso il sentimento di vergogna. Passare da uno stato di arousal, ovvero di disregolazione ed eccitazione, ad uno stato di allarme e dolore come quello che segue una umiliazione fisica o morale, lascia una sensazione di corto circuito, di un’interruzione non mentalizzabile dell’esperienza.

Strategie di gestione di un capriccio

Quando il bambino mette in atto un comportamento problematico come un capriccio o una crisi di rabbia, il desiderio di ogni genitore è mirare ad interrompere nell’immediato la situazione spiacevole.
Se vogliamo pensare alla crescita del nostro bambino sul lungo periodo e chiederci con che tipo di educazione vogliamo favorire la formazione della sua personalità, dobbiamo spingerci oltre. Per prima cosa, poniamo al centro la relazione con il bambino. Non vogliamo passare al bambino il messaggio che possiamo stare accanto a lui solo quando è adeguato o di buon umore, ma che possiamo aiutarlo a governare i propri stati emotivi, senza fratture relazionali.

Ci aiutano nella gestione delle situazioni difficili le tre domande di Siegel:
Perché mio figlio si comporta così?
Cosa gli voglio insegnare in questo momento?
Come posso farlo nel modo migliore?
La prima cosa che possiamo fare è prendere del tempo ed entrare in sintonia emotiva con il bambino cercando di comprendere il suo punto di vista.
Canalizzare su di lui la nostra attenzione tenendo il contatto visivo; fargli capire che sappiamo come si sente (ad esempio: è faticoso aspettare! …sei proprio stufo vero? …vedo che sei proprio arrabbiato… ) e che ci dispiace che si senta così (arrabbiato, frustrato, impaziente). Quindi, aiutarlo a calmarsi affinché possa ascoltare. In questo anche noi dobbiamo imparare a non agire impulsivamente ma saper attendere, con rispetto per quello che sta provando e facendogli capire che siamo dalla sua parte.
Solo nell’attesa è possibile far nascere un pensiero.
Posticipando il nostro intervento a quando il bambino si sia calmato, possiamo infine reincanalare il suo comportamento verso una modalità più adeguata. In questo sarà importante dare valore al suo contributo alla soluzione. Possiamo chiedergli qual è la sua difficoltà a gestire questo tipo di momenti, e porgli diverse alternative tra cui la prossima volta potrà scegliere per raggiungere il proprio obiettivo.
Ciò che è utile al bambino è percepire dal genitore la sicurezza di un’intenzione, che passa attraverso un tono di voce fermo, pacato e sicuro. Una voce che quando serve sa dire anche NO o BASTA. Ma con autorevolezza, non autoritarismo.
Come distinguere tra queste due modalità? Cercando innanzi tutto di prendere distanza dalle emozioni che nell’immediato il comportamento del bambino ci ha provocato e distinguere il nostro vissuto del momento (forse una comprensibile stanchezza e nervosismo) da ciò che é funzionale all’obiettivo che ci poniamo con il bambino.
Ci sono emozioni o comportamenti del bambino che risuonano con vissuti legati ala nostra storia. A volte siamo noi adulti per primi a provare ansie o paure legate a stati d’animo presentati dal bambino. Quando i bambini avvertono la nostra insicurezza, è frequente che insistano su quel punto per sperimentare il limite e la coerenza che siamo in grado di fornirgli. Un esempio può essere andare a letto la sera o a scuola il mattino. Dobbiamo chiederci se non possa intervenire nelle difficoltà del bambino anche una nostra ansia di separazione o un nostro iper investimento ansioso sulla scuola e lavorare su questo.
In altri casi, possiamo essere preoccupati che il bambino soffra di fronte ad un nostro divieto e quindi faticare a porlo. Questo a volte dà inizio ad un conflitto tra i genitori che si arroccano su posizioni educative differenti.
Di fronte a questo tipo di situazioni, il capriccio del bambino è una cartina di tornasole che evidenzia un conflitto interno al genitore. E siamo solo noi, osservando noi stessi, a poter modificare la dinamica sottostante. 

Infine, anche il genitore ha i suoi bisogni (come uscire di casa alle otto di mattina per andare in ufficio o fare la spesa al supermercato) ed è estremamente sano per i bambini riconoscere l’esigenza dell’altro come principio di realtà.
I bambini e gli adulti (con le loro esigenze dettate dal principio di realtà) non sono sullo stesso piano, per fortuna, perché significherebbe che l’adulto non sarebbe in grado di proteggere il bambino. E i bambini hanno bisogno di sentire gli adulti più forti.
Ciò nonostante, dobbiamo sviluppare una consapevolezza di quanto i bambini, in una particolare fare evolutiva, può o meno sostenere.
Quali sono i loro bisogni? Forse una routine con dei ritmi non troppo veloci. Stare in relazione, poter giocare con pochi oggetti, senza essere sovra stimolato da troppi input visivi e uditivi. Sperimentare. Per questo si possono strutturare diversi momenti, prevenendo gl accumuli di stress.

“La direzione più importante che possiamo prendere non è verso qualche punto cardinale, ma all’interno di noi” (B.S. Siegel)

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