Tagliarsi: l’autolesionismo in adolescenza

Cos’è l’autolesionismo in adolescenza

Il termine autolesionismo adolescenziale si riferisce a comportamenti come tagliarsi o bruciarsi, che vengono messi in atto intenzionalmente, per causare lesioni al proprio corpo o ad alcune parti di esso. Le condotte autolesive sono caratterizzate da incapacità di resistere all’impulso di metterle in atto, ripetitività, crescente senso di tensione prima e sensazione di maggiore benessere dopo l’atto autolesionistico, in assenza di intento suicidario.

In Italia è attualmente molto alta la percentuale di preadolescenti e adolescenti senza alcuna diagnosi psichiatrica che usano  tagliarsi o bruciarsi intenzionalmente. E’ legato in molti casi ad una tendenza alla depressione e all’ansia o panico, all’uso di alcol, fumo o cannabis, ed in particolar modo a disturbi alimentari in adolescenza. 

Molto spesso, pur sentendo di avere bisogno di aiuto, i ragazzi e le ragazze tengono nascosto questo problema, temendo con vergogna di subire il giudizio, l’incomprensione o il rifiuto da parte degli altri.

Tagliarsi, infatti, è un agito strettamente connesso alla sensazione di vergogna e costituisce una sorta di auto-punizione: per non essere quello che si pensa di dover essere, per la sensazione di deludere gli altri significativi con performances non adeguate, per non riuscire a non sentire sensazioni per via delle quali ci si sente in colpa, verso di sè ma soprattutto verso gli altri. La parte di sè che si ritiene indegna viene simbolicamente tagliata via, annullata.

Nell’assenza di un contenimento emotivo esterno e poi interiorizzato, l’attacco al corpo è anche la ricerca di un confine, di un segno nel corpo, in assenza di un confine e una capacità di elaborazione psichica dell’emozione, che non riesce a prendere forma di simbolo e pensiero. 

Concentrarsi sul dolore fisico sembra permetta di lasciare per un momento fuori tutto il resto. E’ un modo per tenere sotto controllo le proprie emozioni, regolare lo stress, non pensare ma allo stesso tempo sentirsi in contatto con sé stessi, traducendo uno stato psichico in uno corporeo: il corpo, la pelle, sostituiscono confini psichici ancora non percepiti.

Tagliarsi, bruciarsi, è infine un tentativo di raggiungere un picco di attivazione sensoriale in seguito al quale la curva della tensione emotiva può finalmente scendere. Gli adolescenti che si tagliano o bruciano riferiscono infatti di farlo partendo da uno stato di alienazione, derealizzazione o depersonalizzazione, per poi sentirsi, attraverso tale agito, nuovamente vivi e reali, di raggiungere quindi uno stato di maggiore calma.

Questi agiti costituiscono, proprio data la loro attuale diffusione tra gli adolescenti, non da ultimo una sorta di connotazione identitaria e costituiscono tra le altre cose un particolare codice comunicativo della sofferenza. Comunicazione che avviene idealmente nei confronti dell’altro ma, prima ancora, verso di sè: i tagli costituiscono una memoria storica, una narrazione, una sorta di diario corporeo, dei momenti peggiori.

Altre funzioni e motivi dell’autolesionismo in adolescenza

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L’esordio di episodi di autolesionismo è spesso legato al timore di un abbandono o al suo verificarsi, ad una sensazione di fallimento, spesso connesso all’identificazione di sè con la performance, il risultato scolastico, il canone estetico, richiesti esplicitamente o implicitamente dall’ambiente. È connesso alla sensazione di vuoto, di non essere compreso o visto dagli altri per quello che si è (e di cui ci si vergogna), di non riuscire a gestire le proprie emozioni disturbanti o non coerenti con quello di cui il sè principale, relazionale, dell’adolescente sente di aver bisogno per sopravvivere e per essere accettato.

Le emozioni alla base delle spinta autolesive infatti non sono mentalizzate. Si tratta di nuclei dissociati, per nulla integrati con il sè che l’adolescente vive nella quotidianità. Sarà comune che l’adolescente che si taglia possa ridere, scherzare, fare festa immediatamente prima o dopo l’agito autolesivo. Questo proprio perché l’agito sostituisce e spegne l’emozione a cui è legato e che non trova collocazione nel sè principale e nei suoi pensieri. Se così fosse, la possibilità di stare nella tristezza o nella rabbia, non renderebbe “necessario” ricorrere al sintomo corporeo. 

Ancora, nel tilt della capacità integrare pensiero ed emozioni, è il corpo il luogo dove la sofferenza si esprime, lo strumento per comunicare, in modo ambivalente (“non voglio che tu, adulto, lo sappia ma vorrei che te ne accorgessi, che ti accorgessi che sto male”) i propri bisogni e conflitti, quelli che non si riesce a mettere in parole.
I comportamenti autolesionistici riguardano la superficie corporea, la pelle, anche in qualità di confine e separazione tra il sé e l’esterno: manipolarla, tagliarsi, è come poter controllare e maneggiare la distinzione ed il confine tra sé e l’altro. In assenza di un buon processo di individuazione e separazione dagli adulti di riferimento, tagliarsi può significare tentare la separazione dall’altro, tagliarlo via simbolicamente dal proprio corpo quando lo si sente troppo invasivo dentro di sè.
Farsi del male può essere anche un modo inconscio di attaccare l’altro, punirlo dandogli un dolore, o, in senso depressivo, dandolo a sé stessi, se si parla dell’altro interiorizzato.

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Mio figlio si taglia: cosa fare?

Quando un genitore viene a conoscenza di agiti autolesionistici da parte dei propri figli di solito prova paura, rabbia, sensazione di inadeguatezza.

Come adulti, è importante evitare di agire in modo non elaborato tali emozioni, rischiando paradossalmente di ricalcare la stessa impulsività e assenza di mentalizzazione che connota il sintomo stesso del proprio figlio/a.
In primo luogo, sarà necessario fare attenzione a:

– prendersi del tempo per pensare e dare una lettura di quello che sta accadendo e delle sue ragioni, evitando di cortocircuitare nel senso di colpa o fallimento, che spesso è un modo per evitare di affrontare davvero la situazione e di vedere l’altro per quello che lui/lei è;

– prendersi cura della propria paura, chiedere prima di tutto un supporto per le fatiche insite nel vivere come genitore la fase adolescenziale post pandemia dei propri figli: non è facile!

– non manifestare rabbia, giudizio, rimprovero o eccessivo spavento ma ascoltare, cercando di non proiettare le proprie emozioni e paure sul proprio figlio/a; 

– comunicare accettazione e amore incondizionato: vai bene come sei, qualunque cosa tu faccia (prima di poterlo fare, però, è necessario chiedersi se davvero è così: a volte anche da adulti siamo talmente insicuri che pensiamo che solo facendo il massimo potremmo andare bene, e involontariamente proiettiamo lo stesso sui nostri figli);

– rivedere le priorità: se state eccedendo nella centratura sulla performance, è giunto il momento di chiedersi perchè: concedersi di ri-conoscere con curiosità il proprio figlio/a per quello che è e per i bisogni che forse non ha mai manifestato chiaramente.

Chiedere aiuto

L’autolesionismo è, come abbiamo visto, una sorta di tentativo disfunzionale di regolazione emozionale, sostitutivo alla possibilità di elaborare, integrare e organizzare le proprie emozioni e i propri pensieriQueste funzioni possono svilupparsi attraverso esperienze relazionali terapeutiche positive. In un buon percorso psicoterapeutico sarà anche valutabile l’utilizzo di tecniche specialistiche come l’EMDR finalizzate all’elaborazione di vissuti traumatici. Gli agiti autolesionistici sono infatti da considerare come dei veri e propri episodi traumatici in sè stessi, che vanno tradotti, questa volta, dal corpo alla mente.

Per informazioni o un appuntamento nel mio studio a Milano potete contattarmi al numero 347.5202018 o tramite mail: irenemazzon@libero.it.

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